Oggi tutti parlano di scuola e di riforme. Il dibattito è sicuramente benvenuto e utile, ma il rischio è che ognuno elabori le proprie ricette e si finisca con un nulla di fatto.
Come fare allora?
Sfruttando la calma post-elettorale, nel prossimo anno bisognerà implementare un primo piccolo pacchetto di riforme. Quelle su cui c’è un buon accordo tra i vari fronti. Elenco ad esempio: il potenziamento dei docenti di appoggio nella scuola elementare, più autonomia alle sedi di scuola media, un’ora di sgravio in più ai docenti di classe (perlomeno nel secondo biennio) e la riduzione progressiva in tre anni ad un massimo di 22 allievi per classe.
Per le riforme che coinvolgono cambiamenti più importanti, in parte legati anche ad aspetti “ideologici”, servirà più tempo. Ci vorrà una linea chiara e bisognerà trovare un fronte ampio e compatto (che non si sfaldi la sera stessa di un fallimento elettorale).
La “Scuola che Verrà” è stata bocciata anche per la mancanza di sostegno di una larga parte del corpo docente. In campagna elettorale allora è vincente gridare “ascoltiamo i docenti”. Nessuno però dice come farlo. Al momento esistono già diverse associazioni magistrali e i sindacati, ma forse non basta. Per la scuola media proporrei allora di dare più potere ai plenum dei docenti. Per almeno tre anni, dare uno sgravio ai presidenti dei plenum, in modo che possano occuparsi attivamente di politica scolastica con il seguente mansionario: raccogliere ciò che propongono i colleghi di sede, fare ordine tra le proposte, confrontarle con quelle di altre sedi, presentarle a direzione, DECS, politica, genitori e riportare i feedback di questi attori ai colleghi.
Un discorso da rilanciare subito è quello della collaborazione tra gli insegnanti. Uno degli aspetti interessanti della professione di docente è che non si smette mai di imparare. E lavorando coi colleghi si impara moltissimo, una proficua formazione continua. Visto che manca una tradizione in tal senso, propongo di farlo in maniera volontaria per i docenti già in servizio e obbligatoria per i nuovi arrivati. Dare un’ora di sgravio da investire nella collaborazione. Un’ora per vedere lezioni di colleghi di materia (anche inter-sede), di altre materie (per favorire l’interdisciplinarietà), fare lezione con un collega (team teaching), preparare/confrontare i materiali didattici con i colleghi.
Bisogna poi implementare un sistema di sperimentazione continua, che permetta alla scuola di tenersi aggiornata e poter valutare varie idee, per non arrivare a voler sperimentare troppi cambiamenti assieme, come proponeva la “Scuola che Verrà”. Oggi c’è già la possibilità di sfruttare il monte ore di sede. Io amplierei questa possibilità, dando sgravi consistenti a docenti desiderosi di sperimentare. Il cosa sperimentare può venire da idee dei docenti stessi, delle sedi, del DECS, del DFA, della politica o delle famiglie. Il tutto va coordinato a livello dipartimentale per dare continuità e struttura alla cosa. Iniziare con sperimentazioni brevi, magari anche solo di un paio di mesi e poi negli anni estenderle in modo graduale se danno buoni risultati. Elenco alcune idee su cosa si potrebbe sperimentare: capire il carico lavorativo di una differenziazione ben implementata, sviluppare strategie per la differenziazione, capire come organizzare/sfruttare in modo efficiente i laboratori (in quali materie hanno più senso, con quali forme organizzative?), verificare l’efficacia di lavorare a gruppi strutturati, testare la flipped classroom, verificare l’effettività dell’uso dei tablet e simili, capire come stimolare gli allievi più bravi. E, perché no, inviare qualche docente interessato in Finlandia (o altrove) a studiare e capire gli elementi che portano al successo altri modelli scolastici.
Queste alcune idee concrete su come ripartire. Rubando uno slogan elettorale direi: facciamolo!
Ruben Notari, candidato al Gran Consiglio per il Partito Socialista, Lista 4, Candidato 77